
L’importanza dell’acqua nella produzione di vodka
15 Aprile 2025Negli ultimi anni si è fatta strada, in maniera sempre più insistente, la moda delle bevande low alcohol, prodotti che promettono gusto, esperienza sensoriale e piacere alcolico… ma senza (o quasi) alcol. Una tendenza apparentemente “moderna”, “inclusiva” e “responsabile”, ma che rischia di portare a una graduale degenerazione del comparto dei distillati — e, più in generale, di tutta la cultura del bere consapevole.
1. I distillati senza alcol sono una contraddizione
Ridurre drasticamente il contenuto alcolico di un distillato significa snaturarne l’identità culturale, tecnica e sensoriale. I distillati nascono per essere forti, intensi, concentrati: sono il frutto di un processo di trasformazione profonda, alchemica, che separa l’essenza aromatica dell’ingrediente dalla sua parte acquosa. Svuotare il prodotto del suo contenuto alcolico, o ridurlo a una soglia simbolica, vuol dire negare la stessa ragione d’essere del distillato.
Il rischio è di trasformare il comparto in una parodia del suo passato: prodotti “leggeri”, “inclusivi”, ma senza più anima. Inseguire questa moda significa abbandonare la ricerca della qualità, dell’eccellenza, della storia che ogni distillato porta con sé.
2. Le tecniche innovative vanno rispettate, non banalizzate
È vero: oggi esistono strumenti straordinari come il Rotavapor e altri dispositivi di distillazione a basse temperature. Queste tecnologie permettono di estrarre aromi delicati e preservare molecole termolabili, offrendo infinite possibilità creative.
Ma queste tecniche, se non accompagnate da una presenza alcolica significativa, rischiano di ridursi a meri esercizi di stile. Il distillato non è solo un insieme di aromi: è un equilibrio tra gusto, corpo, calore e intensità. L’alcol non è un nemico: è il vettore principale di aromi, il “canale” attraverso cui i profumi si esprimono pienamente. Togliere l’alcol e continuare a usare la parola “distillato” è un abuso linguistico e culturale.
3. Se si vuole bere meno alcol, ha più senso bere analcolico
Chi desidera bere poco alcol dovrebbe avere la libertà di farlo. Ma in questo caso, la strada più sensata è bere bevande completamente analcoliche, come infusi, kombucha, fermentati naturali o cocktail a base di succhi e spezie. Questi prodotti non pretendono di imitare ciò che non sono.
Continuare a proporre “distillati low alcohol” o “gin analcolici” è una scorciatoia che crea confusione culturale e sensoriale. È come proporre un “formaggio senza latte” o un “caffè senza caffeina” come equivalenti. Esistono, ma non sono la stessa cosa. Ed è bene riconoscerlo.
4. Il contesto culturale conta: Europa non è Arabia Saudita
Le bevande analcoliche hanno un senso — e un enorme valore commerciale — in contesti culturali e religiosi dove l’alcol è vietato, come nei paesi islamici. In questi luoghi, offrire alternative sofisticate è intelligente, rispettoso e anche strategico per entrare in nuovi mercati.
Ma in Europa, dove la cultura del vino, della birra e dei distillati è patrimonio storico, questo tipo di proposta rischia di appiattire l’identità. L’idea che tutto debba essere “safe”, “soft” o “light” cancella la complessità di secoli di tradizioni enogastronomiche. Il nostro patrimonio culturale si fonda anche sul modo in cui beviamo: educato, rituale, sociale, profondo. Svuotarlo è come togliere le spezie dalla cucina indiana.
5. Le accise vanno riformate, non estese ai prodotti artigianali
Un ulteriore rischio, legato alla normalizzazione del “low alcohol”, è di tipo economico e normativo. Si parla sempre più spesso di rimodulare le accise sull’alcol — e se da un lato è giusto abbassare le tasse sui distillati artigianali, dall’altro c’è il rischio che vengano estese nuove forme di tassazione anche a prodotti più deboli, come il vermouth, gli amari o le birre artigianali.
Se passasse l’idea che “l’alcol è il problema”, si aprirebbe la strada a normative restrittive su tutta la filiera, colpendo anche chi lavora bene, con passione, in modo responsabile e trasparente.
Conclusione
Il futuro della distillazione artigianale non può passare per la negazione dell’alcol. Educare al consumo responsabile, sì. Sperimentare con nuove tecniche, sì. Ma rinunciare all’essenza dei distillati per inseguire una moda passeggera è un errore che rischiamo di pagare caro.
Sarebbe molto più onesto e utile insegnare ai giovani a bere poco ma bene, con consapevolezza, rispetto e cultura, piuttosto che riempire gli scaffali di prodotti senz’anima, buoni solo per i post di Instagram.